I custodi dell’abbazi

Questo racconto fa parte di Storie ad un metro …dal palco

di Enrico Gentili, con la collaborazione di Kristian Fabbri

Sono appassionato di folclore locale, improvvisatore dal 2012 con l’associazione Theatro di Cesena di cui sono vicepresidente, nel 2017 ho ideato il format “Altrove” per portare spettacoli teatrali nelle piccole comunità dell’Appennino.

Enrico Gentili


E’ una storia di fantasia tratta da un’improvvisazione messa in scena nello spettacolo Altrove a Miniera di Novafeltria. Personaggi e nomi sono completamente inventati

Enrico Gentili

I custodi dell’abbazia

Io stavo fermo, immobile, come la statua di San Giuseppe, ero anche preoccupato, qualcuno diceva anche che quando ti dipingono sulla tela poi capitava che l’anima rimanesse imprigionata nel quadro e poi non andavi in paradiso, ma pensavo a tutti quei santi e quei frati che ci sono dipinti di là nell’abbazia, non avranno avuto di ‘sti problemi, mi preoccupavo anche di venire bene, di sembrare un po’ un signore per quanto potessi, con quel vestito della domenica, rattoppato e sgualcito e il cappello che mi aveva imprestato Tonino, fuori la gente lavorava, si sentiva il biroccio di Sandrino colmo di legna salire la strada acciottolata, i fringuelli cantare allegri, mentre quella santa donna di mia moglie stendeva la piadina sul tavolo, speravo che l’artista facesse un bel lavoro, ma anche che non ci mettesse troppo,  mi si era indolita la schiena e poi volevo o andare giù a Mercatino Marecchia, prima che facesse sera, che gli operai stavano stendendo le traversine, dicevano che in primavera sarebbe arrivato il primo treno da Rimini, ero curioso di vederlo com’era fatto ‘sto treno.

E’ una giornata serena sulle verdi colline che dipingono il crinale tra il fiume Uso, che in questa stagione è poco più di un torrente, ed il grande capriccioso Marecchia, sono le prime avvisaglie di ciò che in pochi chilometri diventerà un più aspro Appennino. L’Abbazia di Montetiffi si staglia fiera contro l’azzurro del cielo, circondata dal suo giogo di case in pietra, un paesaggio immutato da secoli. Ora la vecchia Abbazia non gode più dell’importanza di un tempo, né si odono più le lodi o i vespri echeggiare nella vallata sottostante, sono spariti i frati benedettini che occupavano il coro, sono rimaste solo le sedie in legno, le umili celle in nuda pietra e una coppia di anziani che accudisce quelle fredde e antiche mura.
I due da anni si occupano di tenere in ordine l’edificio, ormai praticamente disabitato, eccezion fatta per la chiesa, che ancora assolve a luogo di culto per gli abitanti del piccolo paese.

• Hai fatto tutto? …li hai nascosti bene? …in un posto dove non li trovi neanche quello scavezzacollo di tuo nipote.

• Nostro nipote. Sì, siamo a posto, ma un po’ mi sento in colpa.

• In colpa? In colpa di chè?

• Tenerli tutti per noi… senza lasciare niente a nessuno. Non dico a mia sorella, che lei ci mangerebbe anche i cavalletti del letto se potesse, ma almeno qualcosina a nostro nipote, viene a farci compagnia e a darci il buon anno, non è mai mancato neanche una volta. Io ad Aldino voglio bene.

• Dì, ascolta, Santina, a noi cosa ci hanno lasciato? Il mio povero babbo e il nonno ci han lasciato questa vecchia Abbazia da tenere in ordine, qua ormai era tutto un rudere se non era per loro prima e per me adesso, che ancora mi spacco la schiena peggio di un bricco a fare tutti sti lavori alla mia età.

• Cosa vuol dire Egidio? Se gli altri sono stati avari con te, devi fare preciso? 

Egidio rimugina un po’ e alzando lo sguardo incontra quello severo del nonno, dipinto sul quadro appeso sulla parete, dipinto da un pretino di passaggio all’abbazia, raccontava il nonno, che ci teneva a quel quadro, più che a sua moglie. Nessuno doveva toglierlo da lì, né venderlo, che col tempo sarebbe diventato di valore, sempre secondo il nonno, pena tutti i colpi che gli avrebbe mandato lui da “lassù”.

…ma senti quell’ingrato, io ormai sono qua, attaccato su in ‘sto quadro, da non so quanti anni e mi tocca sentire ‘sti discorsi, il lavoro all’abbazia era il mio, che quando c’ero io a custodire ‘sto posto, contavo più dell’abate, che se non era per me non aprivano neanche il portone per la messa di Natale e chi le suonava le campane? Sempre io, quasi sempre e quella povera anima di mio figlio non è durato neanche un lustro dopo di me, che se l’è portato via la febbre e questo qua nonostante gli abbiam lasciato un lavoro da leccarsi i gomiti e farci una preghiera ogni mattina per dire grazie, questo invece si lamenta, in miniera lo manderei, che così vede come gli passa la voglia di lamentarsi.
E adesso han trovato anche i baiocchi che aveva nascosto l’abate, che io ho messo a posto ogni singolo sasso di questo posto e quel Santissimo mangiaostie era andato a nasconderli dietro alle assi del confessionale, pace all’anima sua!


“Toc, toc”.

• Egidio, va a aprire che io ho da fare in cucina.

• Buongiorno zio, buongiorno zia, ci ho messo un po’ perché mi sono messo a mangiare le ciliegie nel podere di Ezio, ma devo averne mangiate troppe e c’ho un po’ di forturi nella pancia.

• Proprio oggi dovevi arrivare? Abbiamo ancora da fare con la canonica…

• Sì zio, la mamma è andata a Sarsina da una signora che sta poco bene e il babbo ha da fare con le consegne dello zolfo, così mi han fatto venire prima quest’anno.

• Mo’ vieni purino, avrai sete dopo tutta quella strada a piedi.

• Grazie zia, sì che c’ho sete… 

La signora Santina prende la brocca dell’acqua, che ancora si mantiene fresca tra le solide mura di pietra della casa del custode. Il sole la illumina per molte ore al giorno e la cura con cui fu costruita la mantiene sempre salubre e ben illuminata, al contrario di tante altre abitazione del borgo, addossate le une alle altre, per conservare il calore in inverno, e chi lavora per l’Abbazia ha sempre legna e carbone, per scaldare l’acqua, la minestra e le membra, oggi solo quelle del custode, un tempo anche quelle dei numerosi frati.

• Dì Aldo ma non c’era la sbarra chiusa alla fine della strada che viene da sopra?

• Sì zio, ma ci sono passato sotto.

• E non c’erano degli alberi caduti prima della sbarra? Si passava bene?

• Sì zio, ho fatto un salto così, guarda! Zac! E’ stato facile.

• Boia del somaro, sei peggio di una cavalletta.

• Dai sù Aldo, mettiti a sedere e bevi su un po’ d’acqua.

• E tè Egidio, smettitela di dargli danno. 

• Grazie zia, poi dovevo dirvi che sono qua per un motivo, che a scuola c’hanno dato un compito da fare. “Che lavoro fanno i tuoi…

• ”Genitori!

• No zio, quelli li abbiamo fatti in seconda, quest’anno voglio sapere cosa fanno gli zii!

• Mo dai Aldo scrivi che facciamo quello che fanno i tuoi genitori, cosa vuoi che sappiano a scuola.

• No, no, zio, quelli controllano, un mio compagno ha scritto che sua mamma faceva la ballerina, l’hanno scoperto subito che invece non era vero e che faceva un altro mestiere.

• Beh Aldino, povera stella, non lo sai cosa facciamo?

• Io in questi anni vi vedevo la domenica quando venivo a mangiare coi miei e non lavoravate perché era domenica, poi d’estate, ma anche lì non vi ho visto fare dei gran lavori.

• Ma senti questo delinquente che viene qui a farci la predica.

• Stai buon Egidio. Ma tesoro, noi custodiamo questa vecchia Abbazia, la teniamo in ordine.

• Va bene zia, allora scrivo che i miei zii vivono nell’abbazia di Montetiffi e si occupano di tenerla in ordine, però devo scrivere dei lavori veri… cosa scrivo che fate?

• …ah …ehm …tipo io do la polvere, spazzo, lo zio sistema le crepe e le pietre che si rompono, i coppi, le assi che si infradiciano.

• Ecco Brava Santina, diccelo con questo saltafossi, che io mi spezzo la schiena qua dentro. Poi badiamo all’orto.…anche è vero, ‘chè i pomodori e le patate non vengono mica nel piatto da soli, diccelo.

Che poi detta così sembra facciano anche fatica ‘sti due vagabondi, ma io prima che quel sant’uomo di Padre Urbano mi desse da badare ‘sto convento, stavo 12 ore al giorno in quelle gallerie, dove si respirava a malapena, a riempire dei carrelli di pietre nel buio, io sì che lo so cosa vuol dire lavorare, non questi due, che loro dovrebbero ringraziare che gli ho lasciato questo lavoro, ben pagato e senza troppa fatica, con un bel tetto solido sopra la testa, il carbone che non manca mai e niente che gli manchi nei periodi di magra, questi due per dare due ramazzate per terra e mettere un po’ di calce tra le pietre sembra che debbano rimettere in piedi il duomo di Rimini.

Egidio, sotto lo sguardo sempre accigliato del nonno sul dipinto, si tira in disparte la moglie e inizia a bisbigliarle qualcosa all’orecchio.

• Santina io mi sono stufato di star qua, con quei soldi che abbiam trovato nel confessionale, ci scappa una casina in città e possiam vivere di rendita per due vite, tanto di figli non ne abbiamo, non vorrai mica morire in miseria qua in ‘sto rudere e lasciare i soldi a quel saltafossi di nostro nipote e a sua mamma!

Che cosa mi tocca sentire, io quassù son solo un mezzobusto e non c’ho più le gambe, ma le orecchie le ho buone, più di quando ero di là e quel buono a nulla di Egidio che dice delle cose del genere, che quel bambinotto avrà sentito tutto di sicuro.

• Zio, che soldi? 

Ecco appunto, boia di un bricco!

• I soldi che non lasciamo a te, cosa c’hai le orecchie del levro, boia te!

• Ma zio parlavi forte, ti ho sentito bene.

• Giù Egidio, vuoi che devi dire così con questo povero bambino? Cosa ti avrà mai fatto di male. 

Che brutto ranzgo, taccagno e tirchio che non sei altro, ti va bene che da attaccato quassù non posso darti uno scappellotto fatto per il verso, se no vedevi come ti addrizzavo, che più che guardarti male da qui non posso fare, e per fortuna che quando mi han disegnato ero preoccupato che venisse bene il quadro e ho la faccia seria, altrimenti non potevo fare neanche quello.

• Santina, ti ci metti anche te a sgridare, non basta il nonno che mi guarda sempre con quella faccia cattiva, adesso lo giro contro il muro così smette. 

Non ci provare eh, ehi, cosa fai, metti giù quelle manazze, non vedo più lume, è tutto scuro, questa me la paghi, traditore che non sei altro!

Ora il quadro del nonno mostrava di sè solo il retro grigio e sporco di una vecchia tela, mentre il suo sguardo truce minacciava nell’ombra solo le ruvide pietre del muro.

• Dai Aldino, sono cose da grandi, lascia lavorare gli zii adesso e vai a vedere se c’è Paolo, dovrebbe essere tornato già a casa anche lui. Basta state attenti e non date fastidio ai vicini. E non andate lontano, rimanete qui attorno. E non mangiare più ciliegie che già ti han fatto male. E poi, se vi vede Ezio, vi tira con lo schioppo.

• Va bene zia ci vediamo tra un po’ allora, sì che stiamo attenti. Ciao zio, buon lavoro, allora! 

Il piccolo Aldo supera l’uscio con un sorriso mascherato, attento a non farsi vedere dallo zio, ancora adirato per la curiosità mostrata dal nipote per il ricchissimo tesoro da lui trovato.

Quando ero giovane io, Ezio ancora era un bambino, ma i ciliegi c’erano già, più piccoli però, forse qualcuno in meno, anche di case ce n’era qualcuna in meno, che poi da quando sono attaccato in ‘sta parete ne vedo poca là fuori, giusto uno scorcio, magari adesso avran fatto un mucchio di altre cose la fuori, roba che c’abbian portato anche la ferrovia quassù a Montetiffi, come a Mercatino Marecchia, ho sentito che di là ci passa il treno adesso, ma qua non credo, troppa salita e siam troppo pochi, anche meno di quando ero vivo io, se ne sono andati in un bel po’, chi all’altro mondo, chi nel nuovo mondo, chi in giro per l’Europa, chi solo a Rimini o a Pesaro, qua ne restano sempre meno, che quando ero un bambino io eravamo in tanti e ci si divertiva con poco, una ruota di legno, una pirucca con la corda, due sassi e le ciliegie erano buone anche allora, quando il nonno di Ezio ci lasciava prendere le ultime, che per i contadini non valeva più la pena di raccoglierle, io, Sandrin, Gilberto della Marietta, Raspin, ci arrampicavamo fino in cima, per non farcene scappare neanche una, molte erano già troppo mature e avevano preso quel forte, che per noi era come se bevessimo il liquore, che quando poi ho potuto mangiare quelle sotto spirito, il sapore ci somigliava davvero, ah se potessi sganciarmi da sto chiodo e fare un salto con quei bambini a mangiare quelle belle ciliegie mature, mi andrebbero proprio e invece sono qua con la faccia contro il muro, senza vedere neanche più la luce del sole.

Aldo e Paolo si inseguono spensierati tra le piante di granturco, alle quali manca solo qualche settimana per essere pronte per la raccolta, in un verde dedalo che già mostra qualche sfumatura giallastra, i chicchi sono ancora duri da mangiare, ma ben si prestano a diventare proiettili per la fionda che il babbo di Paolo ha costruito con gli scarti raccolti in officina dove lavora, meno pericolosi dei sassi, ma altrettanto efficaci contro le povere mucche al pascolo sotto il paese. Quando la stanchezza inizia a farsi sentire, un salto alla fontana a rinfrescarsi e poi di corsa all’ombra della vecchia quercia a sgranocchiare le albicocche ancora un po’ acerbe raccolte poco prima nei campi.

• Dei soldi? Aldo, di che soldi parlavano?

• Ho capito che han trovato dei soldi in casa, molti soldi, parlavano di andare a stare in città, non so neanche dove, e mollare l’abbazia, che’ gli bastavano per due vite a vivere come dei signori.

• …e glieli vuoi rubare? ai tuoi zii?

• Ma mica tutti, facciamo una roba pulita, ne prendiamo un po’, tanto loro non san contare benissimo, anzi, forse non li avran neanche contati.

• Io non voglio finire nelle pesche però!

• No, no, tu devi solo aiutarmi, non ti preoccupare.

• Hmmmmm.

• Stasera basta che mi porti il sonnifero che prende tua mamma, quello che gli ha dato il dottore.

• Però glielo dai te!

• Certo che glielo do io, chi glielo deve dare? Il figlio della povera Carolla?

• Va bene. 

Il giorno passa. I bambini dopo aver giocato qualche ora, tornano a casa per cenare, Paolo con la mamma e le sorelle, il babbo è in città a lavorare, Aldo con gli zii, lo zio Egidio parla poco, è sospettoso, la zia gli racconta dei loro lavori all’Abbazia, ha preparato un bel piatto di minestra, con il sugo, ci sarebbe da far festa in molte case, anche in quella di Aldo, ha anche fatto la ciambella, una cena da signori. A casa sua solo per le feste si mangia così bene e così tanto. Ora che la pancia è piena, le corse nei campi e la camminata si fanno sentire Aldo è proprio pronto per il suo letto, ha addirittura una cameretta tutta sua qua. Anche la zia, sistemate le cose in cucina, e lo zio, dopo una bella sigaretta di tabacco accompagnata da due dita di grappa buona, sono pronti per andare a riposarsi, nei loro morbidi materassi a molle, mica di foglie, come quelli dei poveretti.

Ecco adesso, con lo scuro della notte, non vedo più neanche quella mezza lama di luce che passava tra le pietre e la cornice, mi dava sollievo almeno quella, mi manca il respiro adesso, anche se ora sono sottile come un foglio e non credo di dover neanche respirare, mangiare non devo sicuro… ma… ehi, chi è? Sento dei rumori, sei te Egidio? Santina? Aldo? Chi è? I banditi? Gli anarchici? Gli spiriti? Chi va là?

• Paolo, sei lì?

• Sì sono qua fuori, dormono già?

• Sì, stesi come due stoccafissi.

• Esco dalla finestra e facciamo il giro, così non devo passare davanti alla loro camera, i soldi devono essere nascosti nel pollaio, ho capito così.

• Egidio, svegliati, Egidio, ho sentito un rumore.Chi? Dove? I soldi!Va a vedere di là. 

Anche io ho sentito un rumore, qualcuno è passato qua fuori, giratemi, santa la benedetta!

• Fammi girare sto quadro… Nonno non sarà mica stato il tuo fantasma a far dei rumori? Finalmente la fioca luce di una candela illumina il volto serio del nonno.

Era ora, non ne potevo più con la faccia contro il muro come un condannato, di là, di là, là fuori!

• Santina qua non c’è niente, che ci siano i ladri fuori?

• I ladri! Va a vedere! Cosa fai ancora qui? Sei o non sei l’uomo di casa e il custode di ‘sto posto!

• Mo dove vuoi che vada? Chiudiamoci dentro!

• To’, prendi sto matterello e vai a vedere, sù. Io sto qua e guardo se si muove qualcosa.Facile così, cosa fai? Stai qua ferma di vedetta? Vado a vedere allora…

• Bravo, vai! 

Che se c’ero io, ero già fuori con la schioppa spianata a proteggere la mia abbazia, che vigliacco!

• Dai dunque, Egidio, vai a vedere fuori, Nonno, proteggici tu da lassù, contro questi prepotenti! 

Ah adesso vi devo anche proteggere, dopo che non mi avete neanche fatto un bella tomba di marmo come volevo, mettermi due fiori ogni tanto e dire due preghiere per me, anche solo un grazie per tutte le cose che vi ho lasciato, anche quei soldi che avete trovato, che se non era per me… Ehi sono passate due ombre, sotto la finestra, dalla parte del pollaio, avanti.

• Ho sentito, un rumore di qua, dal pollaio,Cos’è? Quanti sono? Chi sono? Vai a vedere, ma stai attento.

• Te guarda dalla finestra! 

Paolo e Aldo si muovono silenziosi lungo il muro della casa, fino a raggiungere il lato dove si affaccia il pollaio.

• Dei rumori! In casa!

• Ma come? Non dormivano?

• Si saranno svegliati, ma io gli ho dato quella medicina! Cosa mi hai portato? Era il sonnifero?

• Ah credo di sì, la bottiglia mi sembrava quella!

• Paolo, cosa vuol dire credo! Sono già svegli!!! Boia te!

E adesso? 
“Clang”, l’infisso della finestra si apre urtando la parete della canonica, svelando alla fioca luce della candela di zia Santina, le ombre dei due cospiratori e facendoli sobbalzare dallo spavento.

• Boia della vigliacca, mi è venuto un colpo, dicevo di morire. Zitto Paolino, ci sentono!Ecco mi hanno visto, ora sono fregato, io non dovevo fare niente, a me non doveva vedermi nessuno e invece…

• Shhhhhh 

• Chi va là! Andate via altrimenti vi stendo! Sono armato! Santina fai luce!

• Sono due! Li ho visti, di qua Egidio.

• Siamo fregati…Aldo! Sei te? Ma boia del mondo, cosa fai qua fuori di notte in ‘sto scuro, non dovresti essere nel tuo letto? E chi è quell’altro?

• Ciao Zio, sì sono io, scusa, è Paolino, stavamo… cercando… giocando… niente.

• Ma cosa sei matto? Mi hai fatto venire uno spavento…

• Paolo, hai ancora quella boccetta di tua mamma? Allo zio gli si sarà seccata la gola con tutto sto trambusto. Dammi qua. Zio, hai sete?

• Ma cosa sei suonato! Cosa mi interessa a me di bere. Spiegami perché siete qua fuori. Anzi dammi quell’acqua che mi è venuta sete davvero. Adesso mi spieghi questa cosa!

• Io signore andrei a casa, che mia mamma mi aspetta e devo sistemare la legna e mio fratellino sta poco bene…

• No, te stai qui finché lo dico io!

Lo zio, dopo un bel sorso dalla boccetta, riprende con la sua ramanzina.

• Ecco, meglio, è un po’ salata quest’acqua… dove l’avete presa? Allora dimmi cosa facevi qua fuori.

• Zio non hai sonno per niente? E’ tardi, non vuoi andare a dormire?

• Certo che ho sonno a quest’ora e domani devo stare su anche presto, ma voglio capire cosa facevi qua fuori! Adesso me lo dici, altrimenti ti porto a casa tua a calci nel culo, hai capito?

• Egidio, ragazzi, venite dentro, non sta bene fare confusione là fuori a quest’ora, e io voglio andare a letto, che domani ho un bel da fare.

• Paolo, io glielo dico, tanto ormai siam fregati. Volevo vedere i soldi che avete trovato, nella boccetta ci doveva essere una roba che vi faceva dormire un sonno pesante, ma Paolo deve aver preso quella sbagliata, se va bene c’era l’acqua santa, nella boccia.

• Ma come Aldo, un bravo bambino come te? Anche solo a pensarla una cosa del genere. E te Paolino, se lo sa la tua mamma che ti sei prestato ad una malefatta come questa!

• Brutto ingrato, serpe, brigante e ladro che non sei altro! Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te.

• Stai buono Egidio, fai parlare il bambino. 

Guarda te, sono riusciti a trasformare questa povera anima innocente in un brigante, questi due egoisti, bastava poco per fare felice lui e anche la sua famiglia, con tutti i soldi che hanno trovato e invece gli hanno fatto sapere della mela matura e poi gliel’hanno nascosta sotto il naso, ci credo che gli è venuta la curiosità di dargli un morso, brutti avari che non siete altro.

• Ma perché volevi fare una cosa così brutta ai tuoi zii? Sai che rubare è peccato e poi si va all’inferno?

• Perché voi volevate andare in città! Scappare dall’Abbazia e non lasciare niente a nessuno. Io poi dove andavo d’estate?

• Povero Aldo, hai ragione un pochino. Ma non lo faremo, diglielo Egidio, che non lo faremo più!

• Boia del bricco, cosa mi tocca sentire, io che volevo godermi questi ultimi anni in santa pace e invece…

• Egidio, basta, abbiamo sbagliato anche solo a pensarla una cosa del genere, è colpa nostra, non va bene. Smetti di parlare in questo modo davanti ai bambini.

• Porca… Boia… Io… Va là che…  

Dai Egidio, tua moglie che è più sveglia e onesta di te almeno se n’è accorta, fai ‘sto sforzo, fallo per me o per il tuo povero babbo, per l’abbazia, fai un gesto di bontà per una volta.

• Egidio, facciamo così, i soldi sono tanti, noi lasciamo a Aldo e ai suoi genitori il lavoro e la casa qui all’Abbazia e anche un pochino di soldi e noi col resto, che son sempre molti, andiamo a stare in una bella casina a Mercatino Marecchia, che non sarà Rimini, ma c’è tutto, anche il treno.

• Porc… Vigliacca… Zonza… Ma io… Pensavo… Va be’… Alla fine… Va bene dai.

• Bravo Egidio.

• Grazie zia, grazie zio. 

Oh… è stato così difficile? Però a me lasciatemi qui nella mia Abbazia, che ci penso io ad istruire quelli nuovi su come si deve fare il lavoro e speriamo siano un po’ meno vagabondi di voi due e magari che una volta mi portino a casa vostra a Mercatino Marecchia, che vorrei vederlo il treno, almeno una volta.

Questo racconto è di Enrico Gentili che ha gentilmente concesso a Theatre of Tarots di pubblicarlo sui propri canali di comunicazione.

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