La scatola

Questo racconto fa parte di Storie ad un metro …dal palco

di Claudio Guidi

Su di me non ho molto da dire: porto un paio di anelli e non mi pettino.

Claudio Guidi

Questo racconto è nato attorno all’idea di mistero che è qualcosa che si può tramandare e grazie al quale è sempre possibile cambiare

Claudio Guidi

La scatola

Prese la scatola con entrambe le mani, a cucchiaio. Il vecchio lo guardava con uno sguardo sereno e tranquillo. Stava ricevendo un regalo importante, gli diceva. Un regalo che, nel momento del bisogno avrebbe potuto rivelargli la giusta decisione da prendere, la giusta scelta al momento giusto. “Ma ricordati che potrai aprirla una volta sola, una volta soltanto, poi il suo potere svanirà e si dissolverà per sempre”. 

Le parole del vecchio Sebastiano gli echeggiarono nel cuore e nella testa mentre lo vedeva rimpicciolirsi dal finestrino posteriore dell’auto che lentamente si allontanava dalle ultime vacanze della sua infanzia. Non avrebbe più rivisto il vecchio Sebastiano dopo quel giorno d’estate. Ripose quella scatola nel cassetto più importante della sua scrivania, il primo a partire dall’alto. Quello dove teneva le cose sue più preziose. Di tanto in tanto, incuriosito, di sera, prima di andare a letto, la prendeva e la guardava da tutti i lati. Cercava di indovinare quello che potesse nascondersi al suo interno ma nulla, non sentiva nulla di particolare. Fece così per un po’ di tempo, poi se ne dimenticò.

Ben presto i primi amori iniziarono a bussare veementi alle sue porte e le prime sfide di virilità lo misero alla prova nei giardini sconsolati della scuola. Baci, cazzotti, carezze e sigarette. Mai era stato così sicuro di sé e mai gli sarebbe venuto in mente che assecondare il suo amico Vito nel tentativo di rubare dalla cassa della rosticceria a fianco del comune fosse un errore. Lo vennero a prendere i carabinieri la notte stessa, sua madre piangeva a dirotto, suo padre era su tutte le furie. Per quella cosa non gli rivolse la parola per ben due anni di fila. Non una parola, per due anni, davvero. Ma non fu quell’evento a farlo cambiare. Nonostante tutto continuò a frequentare Vito per diverso tempo, per diverse notti, per diversi episodi. E così ancora fughe, risate ed alcool. Anche una pistola, una volta, di sfuggita, senza toccarla, solo guardarla. Si fece inghiottire da un circolo vizioso senza vie di uscita. Gli eventi chiamavano altri eventi ed ogni volta una piccola esagerazione spostava il punto di equilibrio pericolosamente verso l’abisso. Solo una notte, esausto ed annoiato, mentre Vito gli passava una mazza da baseball per frantumare la vetrina della signora Dora, si vide riflesso nel vetro. In controluce rispetto le scarpe esposte in bella mostra, incrociò per un momento i propri occhi come non aveva mai fatto prima e mentre l’amico gli diceva “Spacca tutto!”, lui si ricordò della scatola del vecchio Sebastiano. Un lampo gli squarciò il telo nero su cui era appesa la sua mente. Lasciò cadere la mazza vicino, e senza mai più guardare Vito, senza salutarlo se ne tornò a casa. Nel primo cassetto, la scatola. La osservò con cura. Come nei giorni dopo il rientro da quelle vacanze. Non si ricordò mai quanto tempo rimase ad osservarla. Si addormentò senza aprirla.

Se la portò con sé quando decise di andarsene da casa. Gli studi universitari lo portarono lontano, prima a Milano poi a Berlino ed infine a New York. Percorse le vie del pensiero razionale come si corre una finale olimpica dei cento metri. La sua mente, come una caravella in mezzo alle tempeste dell’oceano, solcò dubbi furibondi per arrivare alla terra promessa della conoscenza e sconfiggere il buio della ragione. Condusse esperimenti che mai nessuno aveva fatto prima sul cervello e sui suoi meccanismi. Ebbe intuizioni sublimi e ne trasse fama, gloria e successo. Visitò i posti più meravigliosi creati dall’uomo e raggiunse tutto ciò che aveva sempre desiderato. La vetta. Fu in un giorno di primavera, quando il sole aveva appena passato il punto più alto del cielo che, in riva al lago vicino a casa sua, mentre osservava un petalo di ciliegio galleggiare, rivide sé stesso, e pianse. Pianse perché si accorse che ancora non sapeva nulla. Nulla. 

Tornò a casa quando raggi rossastri del tramonto trapelavano dalla finestra del soggiorno. Si diresse verso il vecchio mobile di antiquariato che aveva acquistato qualche anno prima in un sobborgo della città. Aprì lo sportello ed in fondo, dietro a qualche bicchiere di vetro colorato, vide la scatola del vecchio Sebastiano. Allungò la mano per aprirla, ma pochi centimetri prima di sentirne la superficie sui polpastrelli, ritirò di scatto il braccio, chiuse lo sportello, prese il telefono e rassegnò le sue dimissioni. Il giorno dopo raccolse le sue cose, i suoi soldi, ed acquistò un biglietto di sola andata per il sud america.

Visitò decine di paesi, in alcuni rimase pochi giorni, in altri si fermò anni. Conobbe l’amore, conobbe Jasmine. Si perse nei suoi occhi e nei velluti dei suoi seni. Smise di rincorrere i capelli di altre, ma piantò semi e speranze. Ebbe dei figli che allevò con grande gioia. Imparò a donare ciò che sapeva invece che usarlo per quello che voleva. Ed infine imparò ad accettare tutto l’amore che riceveva. Per la prima volta nella sua vita ebbe esperienza di quella che in tanti, senza sapere nulla di essa, chiamavano gioia. 

Quando Jasmine morì, il dolore lo attraversò come una spada affilata affetta il cuore. Pianse acqua e disperse le sue grida al vento. Si rese conto in quel momento che tutto dipendeva da lei. Tutto. Rimase anni nella solitudine triste delle sue stanze vuote. Per fortuna l’amore che aveva maturato nei suoi anni insieme a Jasmine gli permise di rimanere in vita anche se la notte, solo, invocava la morte per poterla raggiungere.  Altri si presero cura di lui. 

Fu in un giorno di fine estate che un bambino, spiritoso e vibrante, si fermò a guardarlo dal recinto che divideva la strada dal giardino. Il fanciullo lo guardava mentre spento si lasciava dondolare su una sedia vecchia e malconcia.  “Chi sei?” gli chiese il bimbo. Lasciò che quella domanda si addensasse davanti a lui come fa il fumo della pipa quando la accendi. Si accorse che non sapeva cosa rispondere. Chi era lui infine? Non sapeva davvero cosa rispondere ma in quel momento gli venne in mente una cosa alla quale non pensava più da tanto tempo. Senza una parola si alzò dalla sedia e rientrò in casa. Scese le scale che portavano alla cantina ed una volta giunto nel sottosuolo prese uno scatolone che stava tra la porta ed un vecchio armadio rotto. Lo aprì e rovistò tra decine di strati geologici della sua vita fino a ritrovarla, la scatola di Sebastiano. La guardò commosso, sorrise e portandola con sé ritornò al piano superiore. Appoggiò la scatola ancora chiusa al centro del tavolo del soggiorno e lì la lasciò in bella mostra, affinché tutti la potessero vedere. 

La serenità tornò a colorare il suo viso e da quel momento in poi la vecchiaia gli si presentò come un vassoio di cioccolatini. Il vecchio Pietro lo chiamavano, e lui ricambiava con una buona parola per tutti. Sapeva regalare sguardi d’affetto e con le sue dita nodose riusciva ad indicare il cielo e le montagne come se fosse stato lui ad averle colorate. I bambini del paese ascoltavano le sue storie ridendo e pensando. Gli erano talmente grati che nemmeno lo sapevano. 

Una sera d’estate, lo stesso bambino che qualche anno prima gli fece quella domanda dal recinto di casa sua, gli chiese della scatola che stava nel tavolo del suo salotto. Lui lo fissò negli occhi e lì, tra i riflessi verdi delle sue giovani iridi si vide riflesso ed in quel momento capì che era giunto il momento. Fece uscire il fanciullo dalla stanza per rimanere solo con lei. La osservò da una breve distanza, appoggiata sopra un pizzo di cotone, sempre al centro del tavolo. Il sole entrava basso dalle finestre e come pennelli di luce, i suoi raggi si appoggiavano sulla superficie di legno che la sosteneva. Si avvicinò. La prese in mano come se fosse uscita dal primo cassetto della sua scrivania. Per la prima volta la annusò. Sapeva di cose consumate. Sapeva di legno. Provò a sbirciare dalla sua apertura. La girò. La voltò. Poi, appoggiata sul palmo della mano sinistra, con il pollice e l’indice ruotò il coperchio e l’aprì.

Era vuota. Senza alcun segno particolare, senza decorazioni o disegni nelle pareti interne. Vuota. Era sempre stata vuota. 

Sorrise e guardò fuori dalla finestra. “Grazie Sebastiano” disse con un filo di voce. “Grazie”. Richiuse la scatola ed uscì fuori. Il bambino lo aspettava seduto in giardino. Quando vide che il vecchio Pietro portava con sé la scatola che stava sul tavolo del soggiorno fece un balzo in avanti e si diresse subito verso di lui. 

Prese la scatola con entrambe le mani, a cucchiaio. Il vecchio lo guardava con uno sguardo sereno e tranquillo. Stava ricevendo un regalo importante, gli diceva. Un regalo che, nel momento del bisogno avrebbe potuto rivelargli la giusta decisione da prendere, la giusta scelta al momento giusto. “Ma ricordati che potrai aprirla una volta sola, una volta soltanto, poi il suo potere svanirà e si dissolverà per sempre”.

Questo racconto è di Claudio Guidi che ha gentilmente concesso a Theatre of Tarots di pubblicarlo sui propri canali di comunicazione.

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One Reply to “La scatola”

  1. Manuel says:

    Una bellissima finestra sulle stagioni della nostra vita, l’importanza delle persone ed il loro ruolo nel nostro cammino. La mia scatola e’ ancora in cantina 🙂

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